La parola Piscina ha origini romane: dal “latino PISICNA, da PISCES, pesce, vivaio di pesci e poi gran bagno per nuotare allo scoperto”.
Nella società romana guerresca le prodezze acquatiche erano tenute in gran considerazione, sull’esempio dell’impresa di Orazio Coclite, che dal ponte strenuamente difeso aveva guadagnato la riva a nuoto. In quella stessa guerra Clelia, una matrona romana tenuta in ostaggio dagli etruschi, era riuscita a liberarsi fuggendo a nuoto nel Tevere. L’esercito romano annoverava fra le proprie forze un reggimento di nuotatori germanici e una compagnia speciale di subacquei, gli URINATORES, così chiamati perché sputavano olio dalla bocca per vederci meglio (non sarebbe stato meglio un bel paio di occhialini? Tanto anche lì prima o poi ci sarebbe stato da sputarci dentro!), addetti a liberare dalle pietre gli scafi affondati che bloccavano i porti, ma soprattutto utilizzati per portare fuori dalle città assediate i messaggi incisi su tavolette di piombo.
Ma era soprattutto in tempo di pace che il rapporto dei romani con l’acqua aveva dello straordinario. La usavano per mantenersi in salute e per divertirsi e furono loro –gli ultimi a farlo prima della rivoluzione industriale inglese– a costruire a questo scopo le terme in ogni città, caserma o villa. Si può dire che il nuoto inteso come lo intendiamo noi oggi lo troviamo solo nella civiltà dei romani antichi e successivamente nel XIX secolo.
Per dare una misura della diffusione del nuoto a Roma tenete conto che se a Londra in piena estate funzionano 8 piscine, i cittadini di Roma antica ne avevano a disposizione ben 800, e alcune delle quali di dimensioni spettacolari, capaci di contenere anche 1000 persone!!!
C’è da dire che le terme avevano anche una componente “sensuale e voluttuosa” che da sempre è legata a filo doppio al nuoto e a chi lo pratica regolarmente.
Erano piene di anfratti e alcove appartate dove non solo gli imperatori si concedevano svaghi carnali di diverso genere. Domiziano nuotava in compagnia di prostitute ed Eliogabalo di giovinetti, in vasche su cui galleggiavano rose; anche Tiberio quando faceva il bagno nelle acque di Capri amava circondarsi di ragazzini (Svetonio anzi aggiunge che li aveva addestrati a inseguirlo e a infilarsi tra le sue gambe per leccarlo e mordicchiarlo. Si diceva che nelle piscine l’arrivo di nuotatori ben dotati nei genitali suscitasse l’applauso degli astanti….
Di un uomo ignorante i romani erano soliti dire che non sa “nè leggere nè nuotare”, e laddove gli inglesi spesso utilizzano termini del cricket o della boxe come metafore sulla vita, i romani tendevano a servirsi del nuoto.
Mentre imparavano a nuotare, i giovani romani venivano tenuti a galla per mezzo di assicelle di sughero (il padre di Orazio per dire al figlio che avrebbe dovuto imparare a camminare con le sue gambe gli dice “nuoterai senza sughero”). Appena superato il primo stadio di apprendimento non ci si limitava alle piscine ma si sfidava il Tevere: Orazio consigliava di attraversarlo tre volte a nuoto per combattere l’insonnia.
Stando agli scritti di Plinio, nella colonia romana di Ippona (Africa Settentrionale) i ragazzi “gareggiano per potersi vantare di aver percorso la distanza maggiore a nuoto: vince colui che riesce a lasciarsi dietro la riva e tutti i suoi compagni”.
Una dedica di Properzio alla sua amante Cinzia può dare origini a congetture sui romani e il Crawl:
“Possano le calme acque del Teutrante, cedevoli alle tue mani quando le immergi UNA DOPO L’ALTRA, tenerti prigioniera”.
Quindi quell’elemento che per i greci era legato a filo doppio con un ambiente naturale e, diciamo, intoccato dall’uomo, i romani tentarono invece di controllarlo e sottoporlo a regole; Byron a questo proposito alludeva all’acqua dei romani “imprigionata” nel marmo.
Una menzione d’onore va al romano Sergio Orata che inventò uno degli elementi che troviamo in qualsiasi piscina: LA DOCCIA!!!.
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