Analisi della fase in immersione della bracciata – Introduzione (parte1)

    La modalità in cui avambraccio e mano vengono utilizzati per propellere il nuotatore in acqua è stato oggetto di prolungati dibattiti e controversie fino all’avvento del nuoto moderno. Prima del 1970 si pensava che la mano fosse una specie di paletta, o remo, che fornisse propulsione secondo la legge del moto di Newton. Come la mano si fosse mossa in direzione posteriore (all’indietro) nell’acqua, gli attriti creati da quel movimento avrebbero prodotto una reazione uguale e contraria: il movimento in avanti del corpo.

    Tra fine anni 60 e primi 70 il mio allenatore all’Indiana University, il Dr. James Counsilman, cominciò a studiare il movimento della mano sotto l’acqua utilizzando luci strobo attaccate alle dita dei nuotatori in una piscina comletamente buia. Counsilman supino sul fondo della piscina con una videocamera impermeabilizzata riprendeva nuotatori del calibro di Mark Spitz, Charlie Hickcox e me. Poi faceva lo stesso, ma di profilo. Grazie a questi video Counsilman fu il primo a vedere che la mano lascia l’acqua praticamente nello stesso punto in cui entra per iniziare la spinta in subacquea. Osservò anche che la mano si muoveva con notevoli movimenti “oscillatori”, da una arte all’altra (il cosiddetto sculling o remata). Da questo dedusse che la funzione primaria della mano/avabraccio non era quella di agire come una paletta ma piuttosto come un ala, fornendo sollevamento.

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    Ciò obbedisce a una legge del tutto differente, il principio di Bernoulli, il quale richiede che, relativamente a mano e braccio, le molecole d’acqua sopra il braccio si muovano ad una maggiore velocità rispetto a quelle al di sotto. La differenza nella velocità relativa di queste molecole produce un diverso differenziale di pressione tra sopra e sotto il braccio, creando sollevamento.

    Più tardi un altro scienziato, il Dr. Joel Stager, sempre dell’Indiana University, riuscì a dimostrare che entrambe le teorie erano corrette! Mano e avambraccio agiscono sia come un ala che come un remo, e ciò accade in due diverse fasi del movimento in immersione. Molti del movimenti laterali la cosiddetta trazione a S, in realtà non fornisce un aumento di potenza propulsiva. Comunque, massimizzare la potenza propulsiva può anche non essere il miglior modo di spingere nella fase subacquea della bracciata, visto che la forza propulsiva risultante è legata in maniera inversamente proporzionale all’attrito frontale creato dal corpo del nuotatore e dai movimenti di braccia e gambe. Quello che rende così impegnativo il nuoto è la ricerca del giusto compromesso tra i movimenti che producono la maggiore forza propulsiva e quelli che danno il minor attrito frontale.

    Domani la seconda parte – Gary Hall Sr.

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